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Come facilitare il cambiamento?

dott. Cristiano Reposo - Psicologo, Counselor, Mediatore Familiare • apr 20, 2020
Molto spesso ci ritroviamo intenti a cercare di modificare abitudini o comportamenti di altre persone che riteniamo essere disfunzionali.
Ad esempio possiamo desiderare e cercare di convincere una persona a cui vogliamo bene di smettere di fumare.
Molto spesso però i nostri buoni sentimenti e le nostre buone intenzioni vanno incontro a fallimenti e senso di frustrazione.


Perché questo accade?


Una possibile risposta a queste domande ci proviene dal Modello TransTeorico del Cambiamento di Di Clemente e Prochaska (1982) il quale cerca di fornire una prospettiva di osservazione all’interno della complessità del tema in questione.
Secondo questo modello l’insuccesso nella facilitazione del cambiamento comportamentale risiede nella non conoscenza della struttura e del processo di cambiamento.
Il modello nasce da un’analisi comparativa di 300 approcci psicoterapeutici alla ricerca dell’individuazione di fattori comuni facilitanti il cambiamento.
Il Modello ha trovato vasta applicazione in ambito sanitario per la facilitazione del cambiamento di stili di vita disfunzionali.


Il cambiamento, infatti, sarebbe contraddistinto da una serie di fasi universali.
Il cambiamento si realizzerebbe attraverso il passaggio lungo una serie di step, ciascuno dei quali è propedeutico per il passaggio allo step successivo.
L’efficacia nella facilitazione di un cambiamento richiederebbe quindi nel comprendere in quale fase di questo processo si trovi la persona e nel facilitare il passaggio lungo queste fasi.


Le fasi individuate dagli autori sono:


1. Fase della Precontemplazione.
In questa fase la persona non ha la consapevolezza di avere un problema.
Ad esempio una persona fumatrice che manifesta da lungo tempo una tosse cronica potrebbe pensare che fumare non faccia male e che la tosse non sia connessa al comportamento del fumare.
La convinzione della persona potrebbe essere connessa alla propria esperienza di vita, magari dall’avere avuto parenti che hanno fumato e non hanno mai manifestato problemi.


2. Fase della Contemplazione.
In questa fase la persona matura la consapevolezza dell’avere un problema.
Il fumatore inizia a considerare il fatto che la tosse sia per lui un problema e che questa dipenda dal comportamento del fumare.
Il passaggio dalla fase della Precontemplazione alla fase della Contemplazione viene favorito dall’aumento della consapevolezza dei rischi del fumo, dalla comprensione della connessione esistente tra fumo e tosse e dall’aumento della consapevolezza di come la tosse possa costituire un problema per sé stessi (ovvero come la tosse limiti le mie capacità e possibilità).

Ciò che è fondamentale non è solo, quindi, la comprensione e sensibilizzazione sui rischi del fumo, ma l’aumento della consapevolezza di come il comportamento scorretto sia connesso ad una limitazione della mia esperienza di vita (in questo modo il fumare diventa un “mio” problema).
Ad esempio posso prendere consapevolezza che il fumare da un po’ di tempo mi sta precludendo di vivere la mia grande passione per la montagna perché mi impedisce di godermi a pieno di lunghe passeggiate.
Errato sarebbe invece pensare che per una persona nella fase della Precontemplazione sia sufficiente stimolare il cambiamento ammonendola dei rischi che corre, poiché la persona non ha ancora maturato la consapevolezza del problema, la connessione dei propri sintomi al problema e la consapevolezza di come il comportamento costituisca un problema per sé stessi.


3. Fase della Pianificazione.
In questa fase la persona ha preso consapevolezza che il comportamento costituisce un problema per sé stessi e si sta avvicinando all’idea di doverci porre rimedio.
Diciamo che si trova in una fase in cui il pensiero potrebbe essere: “Mi piacerebbe poter smettere di fumare, ma non so ancora se sono in grado di farlo e come poterlo fare”. Facilitare il passaggio dalla fase della Contemplazione alla fase della Pianificazione richiede sostenere il desiderio di cambiamento della persona, aiutandola a contattare i benefici conseguibili e i vantaggi apportabili alla propria vita.
Non significa elencare i benefici derivabili dallo smettere di fumare, ma aiutare la persona a prendere contatto con l’esperienza di vita del non essere più fumatore ed alla consapevolezza dei benefici per la propria vita.
Tornando all’esempio della montagna la persona va aiutata a contattare l’esperienza delle passeggiate da non fumatore.
Errato in questa fase sarebbe convincere la persona al cambiamento attraverso una serie di benefici generici che non sono però connessi ai desideri e alla motivazione della persona.


4. Fase della Azione.
La persona è ora desiderosa di cambiare e sta ora pensando se possa essere in grado di farlo e a come poterlo fare.
Facilitare il passaggio dalla fase della Pianificazione alla fase dell’Azione richiede saper sostenere la persona nel proprio senso di autoefficacia, ovvero nella consapevolezza di avere le risorse per effettuare questo cambiamento.
Ad esempio la persona potrebbe prendere consapevolezza di avere già smesso in passato abitudini vissute come sotto forma di dipendenza.
Inoltre, in questa fase, è anche importante individuare comportamenti di cambiamento realistici e sostenibili per sé stessi.
Errato in questa fase sarebbe cercare di convincere la persona a smettere sulla base dei rischi e dei sentimenti di paura dal momento che la persona potrebbe non percepire in sé la capacità di poter cambiare oppure invitarla a cambiamenti del tipo “tutto o nulla” che potrebbero essere non sostenibili dalla persona e fonte di frustrazione.


5. Fase del Cambiamento.
In questa fase la persona attua il cambiamento dei comportamenti: sta riducendo o smettendo di fumare da un po’ di tempo.

Sostenere la persona in questa fase significa rimandare apprezzamento per lo sforzo fatto e comprensione per la difficoltà vissuta, non esasperare eventuali ricadute ed invitare la persona a premiarsi in qualche modo per la fatica dimostrata.


6. Fase del Mantenimento.
In questa fase la persona ha cambiato i propri comportamenti da un tempo considerevole. Utili in questa fase sono gli stessi comportamenti di facilitazione della fase precedente.


Il Modello di Di Clemente e Prochaska ci aiuta a comprendere di come la facilitazione del cambiamento comportamentale spesso risulti inefficace per una non conoscenza della struttura e dei processi di cambiamento.
Spesso, infatti, si ritiene sia sufficiente ammonire la persona dei rischi che corre (quando per il modello è fondamentale saper stimolare la consapevolezza del problema e la forza desiderante al cambiamento) oppure si richiede un cambiamento comportamentale (corrispondete alla fase di Azione), quando la persona deve percorre ancora delle fasi precedenti prima di poter effettivamente attuare un cambiamento comportamentale.


Il Modello, inoltre, mette in luce che queste fasi sono universali, ovvero che ogni cambiamento debba passare da ciascuna di esse per potersi realizzare, anche se i tempi richiesti da ciascuna persona per il passaggio attraverso di essi sono variabili e il loro presentarsi non è scontato.
dott. Cristiano Reposo
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