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Obesità pediatrica: a che punto siamo?

Dott. Alexandru Banescu - Dietista clinico e sportivo, educatore alimentare • mag 20, 2020
Sovrappeso, obesità, epidemia di obesità.
Sono termini che ogni giorno si ascoltano in televisione e radio, si leggono su social network e riviste, se ne discute al bar, sul treno, in pizzeria.
Siamo - persone comuni e personale sanitario - continuamente bombardati da come quando e perché questo problema non trova soluzione, ma è anzi in aumento. Se lo si chiedesse alla prima persona che incontriamo, ci risponderebbe probabilmente che basta mangiare meno e meglio e si risolverebbe la situazione. 
Vero in parte. 
Sappiamo bene che bisogna mangiare meno e meglio, ma non è così semplice come si pensa, altrimenti non sarei qui a scrivere di questo.

L’eccesso ponderale nella popolazione ha cause sociali, economiche, culturali, famigliari, mediche, genetiche, comportamentali e psicologiche che pongono le basi per creare quello che è attualmente la più grande fatica contro cui la sanità mondiale sta lottando. Queste dinamiche si intrecciano tra di loro nei modi più imprevedibili fino a portare nel lungo periodo alle numerose problematiche legate all’obesità per il paziente (comorbilità varie, aumentato rischio di CVD, aumento della mortalità rispetto a soggetti normopeso o sovrappeso, disagi di natura psicologica e sociale) e per il sistema sanitario, che deve far fronte ad una spesa inimmaginabile per trattamento e prevenzione. Ne risulta che dovremmo essere tutti interessati nel voler cambiare questo trend in continuo aumento, tanto che negli Stati Uniti le percentuali di bambini, adolescenti ed adulti affetti da obesità sono triplicate negli ultimi 40 anni, per via anche del repentino cambiamento nello stile di vita e comportamentale della popolazione, la quale mangia peggio e si muove sempre meno (due aspetti che vanno considerati insieme alle cause precedentemente scritte). I dati provenienti da oltreoceano sono sovrapponibili non solo all’Europa ma a tutto il mondo e più che epidemia è il caso di utilizzare il termine pandemia.

Dire quale sia il fattore che sta alla base di un cambiamento così drastico nello stile di vita della popolazione mondiale è impossibile, la multifattorialità delle condizioni che si sviluppano con l’eccesso ponderale è sovrapponibile alla multifattorialità delle condizioni che hanno portato al suddetto eccesso poderale.
I ricercatori e le istituzioni sono d’accordo su una cosa: cambiare lo stile di vita della popolazione. Missione molto più difficile di quanto si creda poiché le abitudini poco salutari che ci stiamo portando dietro sono radicate e solo pochi sono pronti a fare un cambiamento. Sia chiaro, il cambiamento al quale si tenta di andare incontro riguarda tutti, anche se chi deve fare gli sforzi maggiori sono le persone in sovrappeso e affette da obesità.

Una delle strade che si sta percorrendo è combattere sovrappeso ed obesità non appena si presentano in età pediatrica. Se è vero – ed è vero – che un bambino o adolescente affetto da obesità sarà un adulto con la stessa problematica, è altrettanto vero che attualmente 1/3 della popolazione pediatrica soffre di eccesso ponderale, con valori che in alcuni paesi europei (tra cui l’Italia) sfiora il 43%. Le cause di questo vertiginoso aumento sono da ricercare nelle abitudini alimentari dei genitori, nella scelta errata di alimenti, nella scarsa se non nulla attività fisica, nelle condizioni economiche, sociali e culturali ed è impossibile intervenire su tutte insieme.
Gli obiettivi iniziali si focalizzano sull’educazione alimentare e sullo spronare il paziente – e di riflesso la famiglia – ad essere più attivo, limitando le ore passate davanti agli schermi. A 2020 iniziato questo compito non è mai stato più arduo e sempre più ricerche stanno andando verso la direzione di come trattare l’eccesso ponderale in età pediatrica.

Un buon punto di partenza per tutti può essere il decalogo dalla Società Italiana di Pediatria e dalla Società Italiana di Endocrinologia Pediatrica sui comportamenti da attuare (per tutta la vita ed in base alle fasi di crescita) per prevenire sovrappeso ed obesità e per tutelare la salute:

In epoca prenatale
1. Attenzione al peso ed astenersi dal fumare: i troppi chili in gravidanza si associano ad aumentato rischio di sviluppare obesità in età evolutiva mentre il fumo materno nel periodo perinatale aumenta il rischio di sovrappeso all’età di 7 anni (indipendentemente dal peso alla nascita). Il rischio aumenta anche se la madre fuma nel periodo postnatale o se il bambino è esposto al fumo passivo

I primi due anni
2. Allattamento al seno esclusivo possibilmente fino a 6 mesi: quest’abitudine riduce tra il 12 e il 26% il rischio obesità nelle età successive. 
3. Evitare un eccessivo aumento di peso e del rapporto peso/lunghezza sin dai primi mesi di vita: l’azione preventiva si basa principalmente sull’attenzione al tipo, quantità e periodo di introduzione degli alimenti
4. Non introdurre prima dei 4 mesi alimenti solidi e liquidi diversi dal latte materno o dalle formule per lattanti: le raccomandazioni internazionali e nazionali suggeriscono di iniziare l’alimentazione complementare quanto più possibile vicino ai 6 mesi di vita

Bambini in età scolare ed adolescenti
5. Limitare l’uso di fast food e la frequenza di locali a base di fast food: l’abitudine ai pasti consumati fuori casa, soprattutto nei fast food, induce le persone a mangiare di più. Inoltre, la frequenza di locali fast food da parte di bambini e adolescenti si associa a un aumento di assunzione di cibo spazzatura e a una ridotta assunzione di vegetali freschi. 
6. Evitare bevande zuccherate, sport drink, succhi di frutta con zuccheri aggiunti. In età adolescenziale, no a bevande alcoliche e energy drink: l’utilizzo di bevande zuccherate può produrre un aumento di peso dovuto al contenuto in zucchero e quindi all’apporto calorico e al ridotto senso di sazietà che inducono.
7. Ridurre a meno di 2 ore al giorno il tempo trascorso davanti a uno schermo: passare troppe ore davanti a uno schermo sottrae tempo all’attività fisica e può associarsi ad un’alimentazione eccessiva e scorretta. È sconsigliato l’uso di tv e tablet sotto i due anni perché è stato dimostrato un effetto negativo della video-esposizione sulla regolarità del sonno. 
8. Rispettare una corretta igiene del sonno: dormire poco è un potenziale fattore di rischio per il sovrappeso e l’obesità in età pediatrica. Le quantità di ore di sonno ottimali nei bambini e negli adolescenti sono tra le 12 e le 16 ore tra i 4 ed i 12 mesi; tra le 11 e le 14 ore tra 1 e 2 anni; tra le 10 e le 13 ore tra i 3 ed i 5 anni; tra le 9 e le 12 ore tra i 6 ed i 12 anni e tra le 8 e le 10 ore durante l’adolescenza. Si suggerisce di spegnere tutti gli schermi almeno 30 minuti prima di andare a letto ed evitare che ci siano televisori e computer nella stanza da letto dei bambini.

Per tutta la vita
9) Seguire un’alimentazione a bassa densità calorica, basata sui principi della dieta mediterranea: un’alimentazione ricca di prodotti vegetali e a moderato apporto di proteine animali e grassi saturi favorisce un sano metabolismo e riduce l’infiammazione dell’organismo. Il maggior numero di pasti dovrebbe essere consumato in famiglia.
10) Trascorrere mediamente almeno 60 minuti al giorno in attività fisica moderata/intensa per migliorare la salute metabolica e ridurre il rischio di un eccessivo incremento di peso: l’attività fisica previene sovrappeso e obesità e migliora il metabolismo a tutte le età. 

 
Il decalogo preventivo è utile a tutti gli operatori per ridurre l’eccessivo aumento ponderale tra la popolazione pediatrica e tutte le conseguenze che ne derivano. Il bambino affetto da obesità presenta infatti frequentemente fattori di rischio metabolici e non metabolici, fino a manifestare morbilità conclamata per ipertensione, dislipidemia, intolleranza al glucosio, disturbi del comportamento alimentare, aspettativa di vita minore rispetto a quella del bambino non affetto da obesità. Inoltre, è alta la probabilità (40-80%) che l’obesità persista in età adulta. A questo elenco si può sovrapporre la piramide alimentare. È un oggetto mutevole, cambiato nel corso degli anni in base alle nuove scoperte sul piano alimentare e di frequenze di consumo ed aggiornato anche dal punto di vista rappresentativo affinché sia il più intuitivo ed immediato possibile, con le informazioni chiave il più comprensibili. Già di per sé la piramide è una forma dal significato inequivocabile, ma non è uno strumento perfetto: si cerca sempre di renderla migliore. Il punto è che tutti più o meno conoscono o hanno sentito parlare della piramide alimentare, quando la si mostra il feedback è positivo perché chiunque si rende conto della sua correttezza. Ma la realtà dei consumi e delle abitudini è ben altra e prescinde le migliori piramidi alimentari.

La piramide alimentare proposta dalla Società Italiana di Pediatria attualmente è la più recente, più ricca e più sintetica possibile, per tutti i bambini, fin dall’età prescolare. Essa può essere estesa anche alla popolazione non pediatrica, in quanto le buone norme alimentari sono esattamente sovrapponibili.  

È importante riconoscere precocemente sovrappeso ed obesità durante l’età infantile e trattare l’eccesso ponderale e le sue complicanze, attuando anche manovre preventive sulla popolazione e sui soggetti a rischio. 

Per Lakshman et al. (Childhood Obesity), considerando il rapido aumento della prevalenza di bambini affetti da obesità in età prescolare e la correlazione tra l’alimentazione durante i primi mesi/anni di infanzia e l’insorgenza di obesità in età adulta, occorre prestare particolare attenzione all'identificazione dei primi fattori di rischio al fine di sviluppare strategie per la previsione e la prevenzione precoce:
- Peso alla nascita e fattori prenatali: esistono prove consistenti da ampi studi di coorte di associazione lineare e positiva tra peso alla nascita e BMI di vita adulta, e questo può essere ugualmente attribuibile a correlazioni con adiposità e massa magra. Inoltre, l’obesità materna, l’aumento di peso gestazionale e l’aumento della glicemia durante la gravidanza sono positivamente associati ad obesità e disordini metabolici nei figli
- L’eccessiva nutrizione nei primi mesi di vita: la situazione che agevola l’insorgenza dell'obesità è l’ipernutrizione durante lo sviluppo del feto e nel periodo postnatale. L'iperglicemia materna porta ad aumentare il trasporto del glucosio attraverso la placenta che, a sua volta, aumenta la secrezione di insulina da parte del pancreas fetale. L'insulina è adipogenica nella tarda età fetale e infantile e probabilmente aumenta il numero di cellule adipose (l’adipogenesi fetale aumentata è alla base della macrosomia osservata nei neonati di madri diabetiche)
- L’aumento di peso durante l’infanzia: in rapporto alle dimensioni del corpo, l’aumento del peso nel primo anno di vita corrisponde al più alto tasso di guadagno di massa in termini assoluti. Più questo incremento è elevato rispetto a quello fisiologico, maggiore è la massa di cellule adipose che si formano e l’equilibrio metabolico viene precocemente modificato
- Nutrizione infantile: è significativamente rilevante il tipo di allattamento: i bambini allattati al seno crescono meno in fretta rispetto ai coetanei che si nutrono di soluzioni di latte artificiale e che hanno uno sviluppo più rapido ed il rischio di obesità in età scolare è ridotto del 15-20% nel primo gruppo
- Fattori genetici: in soggetti con obesità molto grave sono stati identificati disturbi del funzionamento biologico del centro di controllo del senso di fame e di sazietà correlati a mutazioni deleterie nella codifica di alcuni geni. Si tratta comunque di patologie molto rare sulle quali c’è molto da studiare ed approfondire.

Poiché quindi le cause sono molteplici, la soluzione non può essere una ed uguale per tutti. La prevenzione dovrebbe iniziare comunque in età prescolare e continuare durante il periodo scolastico, durante il quale si instaurano molteplici abitudini che si protrarranno nel tempo e si pone la base per uno sviluppo adeguato od uno sviluppo eccessivo, con incremento ponderale elevato. Scuole e personale sanitario dovrebbero così collaborare ed avere l’obiettivo comune di migliorare la vita presente e futura di tutti i bambini.


La valutazione nutrizione del soggetto pediatrico è tendenzialmente più complessa rispetto a quella del soggetto adulto: vanno considerati diversi parametri, a partire dalle curve di crescita e di sviluppo che servono ad inquadrare il paziente in base ad età, sesso, peso, BMI, altezza al fine di iniziare l’approccio dietoterapico nel modo più completo possibile. Ogni bambino o adolescente è diverso dai propri coetanei ed un insieme di aspetti convergono contemporaneamente a formare un soggetto unico per cui l’approccio clinico standardizzato non può funzionare. Ecco perché c’è bisogno di un approccio differente dal solito incontro ambulatoriale, tante volte fine a se stesso.
Il gold standard è l’educazione famigliare, con incontri a cadenza regolare durante i quali si educano la famiglia (o i/il caregiver) ed il bambino con eccesso ponderale, su come scegliere gli alimenti più adatti, quali siano, in che quantità è opportuno farli assumere ai bambini, su come rapportarsi ai disturbi dell’alimentazione e – ultimo ma non meno importante – su come aumentare il livello di attività fisica del bambino/adolescente e della famiglia. Il focus si sposta dall’interesse per il mero calo ponderale verso al mantenimento di corrette scelte di vita (dal mondo di fare la spesa all’iniziare e proseguire uno stile di vita attivo) che alla lunga portano inevitabilmente ad una riduzione del peso. Questo tipo di approccio crea consapevolezza alimentare all’interno del nucleo famigliare, definendo i comportamenti corretti e quelli incorretti nei confronti del cibo e di come ci si approccia ad esso. Le abitudini così maturate persistono per gli anni a venire.
Un trial clinico randomizzato (Kerri N et al.) avvenuto tra il 2011 ed il 2015 nell’area di San Diego ha provato a mettere a confronto i risultati ottenuti nel trattare l’obesità pediatrica in due modi differenti: uno basato sull’intero nucleo famigliare e l’altro basato solo sull’educazione dei genitori/caregiver senza coinvolgere il bambino. Entrambi gli approcci sono stati condotti con 20 ore di incontri di gruppo e 30 minuti di incontri individuali nell’arco di 6 mesi, con gli stessi argomenti e con le stesse figure di riferimento alla base. L’unica differenza è stata appunto la presenza del bambino.
I risultati sono stati sovrapponibili: entrambi gli approcci hanno ottenuto modificazioni significative sugli outcome primari e secondari analizzati, in particolare sulla riduzione del peso del bambino e dei genitori, sul miglioramento dell’intake energetico del nucleo famigliare e sull’introduzione di attività fisica tra le abitudini. Ovviamente la presenza del bambino fa sì che l’educazione passi anche a lui, facendolo sentire più coinvolto nel percorso e più consapevole, rispetto al metodo che non prevede la sua presenza agli incontri e che potrebbe farlo sentire una ‘’vittima passiva’’ di improvvisi cambiamenti che portano in casa i genitori rispetto ai quali manca il suo coinvolgimento.
Questo articolo conferma un pensiero già fortemente consolidato in me e nel personale sanitario che si occupa di obesità e sovrappeso infantile: i genitori sono spesso i diretti responsabili delle abitudini errate dei bambini, quindi agire su questi ultimi è poco producente se alla base non vi è motivazione da parte dei genitori di intraprendere assieme al figlio un percorso di cambiamento dello stile di vita e del rapporto che hanno con il cibo.

Un altro aspetto di non minore importanza è costruire un forte legame di fiducia umana e professionale con il team multidisciplinare che si occupa del trattamento dell’obesità pediatrica. Avere fiducia nel personale che sta di fronte permette di iniziare il percorso con una motivazione maggiore, così come è altrettanto importante avere fiducia nella terapia medica nutrizionale.

Ho usato il termine genitori perché il corretto trattamento dovrebbe interessare entrambi, ma in verità questo non accade. Un’interessante review (Morgan et al.) pubblicato sull’Official Journal of the American Academy of Peditrics fa notare come i padri sono nella stragrande maggioranza dei casi non sono coinvolti durante il percorso dietoterapico del figlio. Si ipotizza che ciò avvenga per via di un disinteresse verso l’eccessivo peso del bambino (alle volte non viene percepito come un problema di salute), oppure un disagio del padre a prendere parte ad incontri di gruppo composti principalmente da donne. La causa del mancato coinvolgimento dei padri è comunque sconosciuta, e solo il 2% degli studi analizzati ha riportato come questa assenza possa essere una limitazione, mentre solo l’1% degli studi ha marcatamente cercato di coinvolgere i padri. In ogni caso è stato notato che l’incremento del tempo trascorso facendo attività fisica dipende molto dal padre, che spesso è più motivato ad effettuare attività sportive con il figlio. Il giudizio comune dei moderatori della review è che la mancata partecipazione di entrambi i genitori è un gap che va colmato e che potrebbe rivelarsi avere una conseguenze positive sulla gestione della salute del bambino.

Tra gli obiettivi da conseguire per il trattamento dell’obesità, secondo lo standard SIO-ADI, vi è la presa in carico del soggetto da parte di un team multidisciplinare per intraprendere un percorso di cambiamento di abitudini alimentari e stili di vita, ponendo traguardi e modificazioni nuove e piccoli ad ogni controllo, con visite mensili.
La nutrizione occupa una porzione del trattamento enorme, per cui le raccomandazioni sono tante e spesso possono voler dire modificare totalmente le abitudini alimentari del nucleo famigliare.
Dallo standard SIO-ADI è possibile riassumerle in questo modo:
- Cercare di comporre la giornata alimentare di almeno 5 pasti
- Cercare di consumare sempre un’adeguata colazione
- Limitare l’ introito calorico e limitare gli alimenti ipercalorici
- Assumere una quota proteica con le frequenze settimanali sulla base delle raccomandazioni dei LARN
- Metà dell’energia assunta derivata dai carboidrati, preferendo alimenti a basso indice glicemico e limitando zuccheri semplici
- Lipidi totali non superiori al 30% delle energie
- Apporto di fibre dietetiche secondo i LARN 2014

L’impegno per il management del problema di peso mondiale non può passare solo per le mani del personale sanitario e delle persone direttamente interessate dalla situazione. In primis sono le istituzioni a dover attuare dei cambiamenti rilevanti sulla società, e di conseguenza sulla popolazione.
In tutto il mondo ci sono alcuni esempi virtuosi di varie azioni che si possono compiere per migliorare i comportamenti alimentari:
- In Messico da gennaio 2014 è stata introdotta una tassa di 1 peso (+10% in media) su tutte le bevande ad elevato contenuto di zucchero, influenzando significativamente la spesa delle famiglie (in particolare di quelle più povere)
- In Cile dal 2016 sulle etichette degli alimenti vengono segnalati quelli che presentano un eccesso di calorie, di grassi saturi, di zucchero e di sodio; contemporaneamente sono stati limitati gli spot pubblicitari di alimenti ad alto contenuto di zuccheri, sale e grassi
- In Francia dal 2005 le macchinette sono bandite dalle scuole primarie; dal 2010 in tutte le scuole è richiesto di scegliere gli alimenti da vendere in base ai criteri della sana alimentazione
- In Finlandia, nel 2010, è partito un progetto governativo per aumentare il livello di attività fisica degli studenti di tutte le scuole, arrivando nel 2016 a coinvolgere il 62% delle scuole del paese.


L’idea che dovrebbe passare è che per quanti buoni decaloghi possiamo scrivere, per quante ottime piramidi alimentari possiamo far vedere alle famiglie, per quanto precisi e mirati possono essere le indicazioni date durante le viste ambulatoriali, se le istituzioni – governo, scuole, aziende – non danno il loro contributo e non fanno sentire di essere sensibili nei confronti della tematica, pochi saranno – e sono – i cambiamenti positivi. Siamo il prodotto del nostro ambiente, e l’ambiente è un nostro prodotto.
Anche la qualità degli interventi proposti deve essere di alto livello, a partire dalle campagne di sensibilizzazione fino al trattamento dell’eccesso ponderale. Se durante una visita il professionista che si ha davanti non dimostra interesse ed iniziativa, difficilmente le famiglie partiranno motivate per il percorso che devono intraprendere.

Il percorso motivazionale è una scelta dietoterapica indicata in molti contesti: è stato visto che aumenta la compliance del paziente e della famiglia, nonché migliora indicatori come BMI, aderenza ai cambiamenti nelle scelte alimentari, introduzione di attività fisica e parametri ematochimici alterati per via dell’eccesso ponderale.
Il percorso può, e forse deve, essere integrato con la tecnologia e tutti i supporti dei quali siamo dotati.
La review elaborata da Turner et al. nel 2014 ha evidenziato come l’utilizzo di SMS quotidiani, messaggi online, e-mail informative, uso di app che monitorano attività fisica e giochi che la stimolano il gioco ed una vita più attiva sono state utili per migliorare le abitudini alimentari, in particolare l’introduzione della colazione e alcune scelte di alimenti più salutari rispetto ad altri, l’aderenza alla dieta, l’aumento dell’attività fisica ed un più controllato introito calorico.
È più auspicabile l’utilizzo della tecnologia con pazienti che possono andare più facilmente incontro a dropout o con i quali è più difficile fissare incontri a cadenza bisettimanale o mensile o con quelli più problematici, ma il suo utilizzo è estendibile a tutti vista la facilità e la sostenibilità a livello economico che presenta.

Ora, sulla carta tutto questo è molto bello e motivante. La realtà ambulatoriale è ben diversa però.
Chi dovrebbe dimostrare genuino interesse verso la propria salute e verso quella dei propri famigliari molto spesso non lo fa. È facile presentarsi in visita con le migliori intenzioni; è estremamente difficile trasformare le intenzioni in motivazione e la motivazione in cambiamento. Forse si sottovaluta l’importanza dell’alimentazione, o forse il pensiero comune che ‘’qualche chilo in più a quest’età va bene, i bambini stanno crescendo’’ è radicato. Quando però i problemi di peso si protraggono con gli anni ed iniziano a manifestarsi le prime conseguenze (difficoltà respiratorie, parametri ematochimici alterati, negativa percezione del proprio aspetto fisico) è più complicato intervenire e porre rimedio ad una vita di scelte sbagliate e prese sottogamba. Il pensiero comune ritiene l’eccesso ponderale nel bambino (e negli adulti) qualcosa di normale, qualcosa che non è un problema di salute e che si può risolvere, basta mettersi un po’ a dieta.
Contrastare ed educare su questi tipi di atteggiamenti è uno degli obiettivi da inseguire per ottenere risultati migliori in termini educativi e di salute.

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